Rapporto di coppia: crisi e trasformazione, 3°parte

Rapporto di coppiaRapporto di coppia: un articolo interessantissimo di Enrico Cheli sulle modalità del rapporto di coppia dalla trasformazione alla crisi.

“Quando ci innamoriamo non ci limitiamo a dire: ‘Hai proprio una mente meravigliosa, sarà una gioia parlare con te per i prossimi cinquant’anni”

Quello che diciamo in realtà è:

 “Hai proprio una mente meravigliosa; mi aspetto anche che tu sia un amante eccezionale, una compagnia straordinaria per le uscite del venerdì sera, un padre stupendo, il mio sostegno e la mia spalla in società, il mio compagno politico, la persona di cui i miei genitori si possono fidare, il conforto nei momenti di sofferenza, e anche il mio guru, il mio lacrimatoio e la mia banca personale”

Poiché ci aspettiamo che una singola relazione soddisfi pienamente e perfettamente tutte le nostre esigenze in questa maniera stravagante e irreale, naturalmente tendiamo ad escludere tutte le altre persone che potrebbero partecipare alla soddisfazione delle nostre esigenze; questo allevia tali persone da potenziali fardelli e in un certo senso fa sembrare la vita meno complicata, ma sovraccarica il partner – che è soltanto un semplice mortale che ci ama, non un dio che può realizzare ogni nostro sogno e, nell’aggrapparci a questo mito diventiamo troppo esigenti.

Se ci limitassimo ad invitare il partner ad amarci, senza sfidarlo, senza aggredirlo, senza nasconderci, il rapporto sarebbe meno teso, meno ambiguo; se sapessimo comunicare con chiarezza e chiedere apertamente al partner ciò di cui abbiamo bisogno, lo metteremmo nelle condizioni per fare del suo meglio e capiremmo che anche lui si trova nella nostra stessa situazione. Potremmo a questo punto reagire in due modi:

1)   Lasciarlo, perché ci ha rivelato la sua fragilità e i suoi limiti mentre noi cerchiamo un partner super che non sia ferito e bisognoso ma generoso, impeccabile e tutto per noi (questa aspettativa è molto simile a quella del bambino verso il genitore: da piccoli tutti noi vediamo i genitori come esseri enormi, onnipotenti, vere e proprie divinità).

Si tratta di una reazione sbagliata, ma sempre meglio che continuare a perdere tempo in sfide, conflitti, scontri.

2)  Affrontare in modo più realistico il rapporto, comprendendo che il nostro partner non ha il potere magico di guarire le nostre ferite di cuore e di riempire i nostri vuoti esistenziali – né lui né nessun altro partner.

Guarire tali ferite e colmare tali vuoti è un processo possibile – anche se lungo e laborioso – ma può avvenire solo attraverso l’autoguarigione; certo, un partner comprensivo e amorevole può esserci di grande aiuto, ma il lavoro ognuno lo deve fare da sé su di sé.Il punto di partenza per un tale lavoro è assumersi la responsabilità della propria guarigione, senza scaricarla su altre persone: né sui nostri veri genitori né sul nostro partner.

Dobbiamo accettare che quel che è stato è stato: nostri genitori non cambieranno, così come le situazioni e le cause che hanno prodotto le nostre ferite affettive non possono essere cambiate: appartengono al passato e i fatti del passato non possono mutare. Può però mutare la nostra interpretazione di quei fatti e possono mutare le conseguenze di quei fatti.

Posso per prima cosa interpretare la mancanza di amore non come una mia sfortuna e ingiustizia privata ma come un male collettivo che affligge tutta l’umanità; in tal modo smetterò di sentirmi vittima e di attribuire colpe agli altri – se colpe vi sono, sono collettive – e potrò poi perdonare coloro che – genitori, partner precedenti – involontariamente mi hanno fatto soffrire perché a loro volta sofferenti. 

Posso a questo punto lavorare sul mio malessere attuale prescindendo dalle cause passate: se un’altra persona ferisce il mio corpo con un coltello, posso curarmi la ferita senza il bisogno coinvolgere colui che mi ha ferito; per guarire non è necessario né che recuperi il coltello, né che mi sforzi di indurre l’altra persona a cambiare e a non farlo più.

Analogamente, potremmo curare le ferite affettive senza tirare in ballo i nostri genitori, ma imparando a fare da padre e madre amorevoli di noi stessi – qualcosa di molto simile a ciò che molti maestri spirituali hanno chiamato “amare se stessi”. 

Oltre a curare le ferite dobbiamo anche imparare a comunicare meglio con noi stessi e con l’altro, a comprendere e accettare le nostre e le altrui zone d’ombra, e a riconoscere e gestire le nostre e altrui emozioni, poiché solo così potremo davvero aiutarci e sostenerci in questo difficile ma entusiasmante percorso che è la relazione.

La natura umana era in origine unica e noi eravamo interi, e il desiderio e la caccia dell’intero si chiama amore” (Platone, Simposio).

                                                                                                                                             Articolo di Enrico Cheli

L’articolo inizia qui

Rapporto di coppia: crisi e trasformazione, 1°parte

Rapporto di coppia: crisi e trasformazione, 2°parte

 

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