Love Coach: l’anoressia sentimentale

lovecoachLove Coach: uomini e donne che non sanno amare L’ANORESSIA SENTIMENTALE

Uomini e donne si frequentano, al giorno d’oggi, con una intensità di cui non si ha riscontro in altre epoche storiche.

Le occasioni di contatto si moltiplicano e proliferano sotto ogni forma (scuole, università, luoghi di lavoro, attività turistiche e di svago, società sportive, club, locali, agenzie matrimoniali, luoghi d’incontro virtuali…), eppure vi sono uomini e donne che hanno rimosso e dimenticato cosa sia l’amore.

In senso stretto, l’anoressia sentimentale, l’incapacità di amare, è una vera e propria pandemia che colpisce, su larghissima scala, tutte le età ed entrambi i sessi, soprattutto nel mondo a modello occidentale.

La fenomenologia è la più varia: chi ne è affetto può essere tanto un individuo solitario quanto una persona in apparenza socievole, amante della buona compagnia e dei divertimenti.

Ma la struttura di fondo del disturbo è identica: il bisogno affettivo è rimosso in virtù di una personalità autarchica, chiusa in se stessa, regolata da abitudini e ritmi personali e ogni qual volta la possibilità di amare si apre un varco nella rigida armatura difensiva sorge dal fondo dell’animo in taluni una malinconia profonda, in altri una rabbia cieca e devastante, in altri ancora una fredda razionalità che vede nell’oggetto amato (nella persona che ha penetrato il cuore) solo vizi e difetti e nella nuova opportunità una fonte incessante di dubbi e preoccupazioni.

A questo punto, l’indifferente può diventare — con l’incertezza, il disprezzo o il sadismo — un persecutore di colui/colei che ha osato turbare il suo equilibrio.

Ecco come lo descrive lo psicoanalista Otto Kernberg:

In circostanze patologiche, come la patologia narcisistica grave, lo smantellamento del mondo interno di relazioni oggettuali può portare all’incapacità di desiderio erotico, accompagnata da una diffusa, non selettiva e perpetuamente insoddisfatta manifestazione casuale di eccitazione sessuale, o perfino dalla mancanza di una capacità di eccitazione sessuale.
L’incapace di amare talvolta si tormenta per ciò che è divenuto; talaltra invece se ne fa un vanto, perché la sua resistenza alla lusinga è — secondo lui — una superiore prova di forza; infine, altre volte ancora vive in una razionalità così astratta da non accorgersi nemmeno della solitudine dell’anima e della aridità del cuore che ha generato dentro di sé.

Intuibile che la patologia narcisistica cui fa riferimento Kernberg ha almeno due possibili sviluppi: uno sul versante ossessivo coincide con l’uomo — o la donna — che vive in un suo ordine solitario, rigido ed efficiente e più o meno relazionato (l’incapace di amare può essere un single, ma anche un uomo o una donna che vive in famiglia, ma che non degna più il partner delle proprie attenzioni giudicando la sessualità e l’amore delle inutili e scomode perdite di tempo o attività noiose, prive di senso o vagamente disgustose); l’altra è sul versante dell’isteria, dove l’incapace di amare oltre a ostentare indifferenza, può talvolta intrappolare i suoi partner in tormentose dinamiche nelle quali ora avvengono inattese fusioni sentimentali, spesso accompagnate da appassionate manifestazioni di tenerezze, cui seguono repentini distacchi, un fare freddo e scostante, talvolta contrassegnato dal disprezzo.

Chi vive in questa strana condizione esistenziale è qualcuno che ha individuato nell’amore la maggior fonte di sofferenza umana o, per via di traumi subiti, della sua personale sofferenza e ha deciso di non soffrire mai più.

Talvolta è stato un bambino deprivato di amore in età nelle quali poteva avvertirne la mancanza e perciò soffrirne, oppure un bambino o un adolescente intenzionalmente trascurato, non amato o anche trattenuto in un rapporto ora seduttivo ora rifiutante. Altre volte, cresciuto fiducioso, è andato incontro a lunghe sofferenze sentimentali in età adulta.

Altre ancora, illuso di poter realizzare nel mondo scopi di ordine superiore e deluso in profondità in questa aspettativa, rinuncia alla vita e fa pagare all’innamorato/a il prezzo di questa catastrofica delusione.

In termini più generali, egli ha smesso di credere nell’affidabilità degli esseri umani e nella capacità retributiva e restaurativa della fiducia e dell’amore.

In modo più o meno consapevole, ha abbracciato l’ideologia anestetica contemporanea, intesa a far sentire forte, superiore, colui che relega la passione nell’altro, riservando per sé il ruolo del bell’indifferente, dello spassionato razionale, dello sprezzatore dell’umana vulnerabilità.

La mia esperienza umana e clinica mi suggerisce che questa condizione esistenziale va sempre più costituendo il “doppio speculare” della soggettività contemporanea. Per un verso animata da innumerevoli e frenetici desideri, l’umanità attuale va per altro verso elaborando una strategia di difesa per la quale ogni desiderio — ma soprattutto i bisogni relazionali — sono trappole da evitare.

Esce da questa patologia — invisibile in un mondo che la invidia e la favorisce — solo chi vuole uscirne e accetta l’idea che coraggioso non è chi reprime il desiderio, ma colui che accetta il rischio esistenziale di vivere fino in fondo le qualità specifiche della natura umana, fra le quali fa spicco proprio quella capacità di immedesimarsi, fondersi ed amare da cui l’anoressico sentimentale rifugge con disgusto e con paura

ARTICOLO DI NICOLA GHEZZANI

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